Testi della mostra en Italiano

I BRONZI DI RIACE. Lo sguardo artístico di Luigi Spina

I cosiddetti «Bronzi di Riace» sono due sculture di origine greca, datate alla metà circa del V secolo a. C., rinvenute in mare nel 1972, nei pressi di Riace Marina, in provincia di Reggio Calabria.

Le due sculture sono considerate tra i capolavori scultorei più significativi dell’arte greca, e tra le testimonianze dirette dei grandi maestri scultori dell’età classica. Attualmente sono esposti al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria e col tempo sono divenuti un simbolo culturale di portata universale di tale istituzione nonché della città e dell’intera regione.

In occasione del cinquantesimo anniversario del loro ritrovamento, il celebre fotografo italiano Luigi Spina ha messo a confronto questi due capolavori dell’arte classica proponendoci un percorso per immagini, che ci consente di cogliere le molteplici sfumature della loro straordinaria umanità e bellezza.

Presentata al MAC nell’ambito degli eventi celebrativi del 30º anniversario della creazione del Centre d’Arqueologia Subaquàtica de Catalunya (CASC), e in parallelo con l’esposizione «Naufragi. Storia sommersa», la mostra ci ricorda anche la straordinaria ricchezza del patrimonio sommerso del Mediterraneo e l’imperativo bisogno di tutelarlo.

L’ETÀ DEGLI EROI

Le statue sono convenzionalmente indicate come Bronzo di Riace A e B o, rispettivamente, il “Giovane” e il “Vecchio”.  Si tratta di due figure maschili nude, stanti e di dimensioni di poco superiori al vero (m 1,98 e 1,97), da immaginare completate dalla presenza di uno scudo, di un elmo corinzio in posizione rialzata e della lancia (purtroppo non ritrovati).

I Bronzi di Riace furono creati con il metodo “diretto”: con un impasto argilloso fu preparato un modello delle varie parti della statua, sorretto da barre in ferro; su di esso si stesero fogli di cera (dello spessore che si voleva dare al bronzo), che poi l’artista modellò fin nei più minimi dettagli che si volevano riprodurre nel metallo; quindi, prima si ricoprì la cera con uno strato di argilla refrattaria (mantello) e poi la si sciolse, facendola fuoriuscire da appositi tubi; si creò così uno spessore vuoto tra mantello argilloso e nucleo interno. In questo interstizio, infine, si colò il bronzo fuso, riproponendo in metallo l’impronta lasciata dalla cera. In ultimo, una volta freddato il bronzo, fu eliminato il mantello esterno. Le varie parti così ottenute furono saldate insieme e si procedette con gli interventi di finitura e l’aggiunta delle applicazioni, dando vita all’opera finita.

L’analisi delle terre di fusione campionate durante i restauri delle due statue ha fornito preziose informazioni sulla possibile area di produzione dei Bronzi di Riace. Le maggiori corrispondenze rimandano all’area di Argo, in particolare per  le terre di fusione del Bronzo B, pur non escludendo definitivamente l’Attica e l’Eubea.

Si tratta quindi di due capolavori della grande bronzistica greca del V secolo a.C.

LO SGUARDO DI LUIGI SPINA

Luigi Spina (1966) è un noto fotografo italiano, appassionato di antichità classiche. I suoi principali campi di ricerca sono gli anfiteatri, il senso civico del sacro, i legami tra arte e fede, le identità culturali antiche e il confronto con la scultura classica, tra gli altri temi legati all’archeologia e all’arte antica. Il loro filo conduttore è la ricerca della bellezza. Una bellezza che è sempre stata fugace e temporanea. Una bellezza che però è mitica e rigeneratrice rispetto alla caducità della vita umana e alla fragilità delle certezze umane.

Ha pubblicato più di 22 libri di ricerca personale e ha realizzato prestigiose campagne fotografiche per istituzioni e musei. Il suo lavoro è stato esposto in numerosi musei in Italia e nel mondo, in permanenza o attraverso mostre temporanee.

Nel suo lavoro fotografico sui Bronzi di Riace, Luigi Spina coglie tutta la bellezza della nudità di questi due capolavori dell’antichità. Nelle sue parole «lo scopo è quello di creare un dialogo con il classico che ha una sua forza trasversale e che non è affatto anacronistico. Lo scopo della mia fotografia è quello di fare emergere i contesti. I Bronzi di Riace hanno smarrito il loro contesto. Adesso appartengono a tutti e al tempo stesso a nessuno. Allora spetta al fotografo offrire contemporaneità».


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